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La vite, simbolo di forza, di capacità di adattamento e di trasformazione ha sicuramente rappresentato in pieno lo spirito del cristianesimo diventando così celebre emblema di quella religione. La Bibbia testimonia che fù Noè, coltivatore della terra, a salvare la vite ed a impiantarla dopo il diluvio.
«Noè, che era agricoltore, sceso dall’arca cominciò a piantare la vigna e bevve del vino, s’inebriò e si denudò in mezzo alla sua tenda. Ora Noè aveva tre figli: Sem Cam e Iafet, Cam, padre di Canaan, vide la nudità di suo padre e andò a dirlo ai suoi fratelli. Ma Sem e Iafet presero il suo mantello, se lo misero sulle spalle e, camminando all’indietro coprirono le nudità del loro padre. Siccome avevano il viso rivolto dalla parte opposta, non videro la nudità del loro padre. Quando Noè si svegliò dalla sua ebbrezza, seppe quello che gli aveva fatto il figlio minore e disse: Maledetto Canaan! Sia servo dei sevi dei suoi fratelli; e disse ancora: Benedetto sia il Signore, Dio di Sem; e sia Canaan suo servo! Dio estenda Iafet! e abiti nelle tende di Sem e sia Canaan suo servo».
(Genesi cap.9)
Testimonianza che le tecniche enologiche erano ben conosciute già in epoca prediluviana. Si suppone che la Vitis Vitifera, la specie di vite con cui si produce la maggior parte del vino moderno, si sia sviluppata intorno all’ 8000 a.C. nei paesi dell'attuale Armenia e Georgia. In quel tempo il vino veniva fatto tramite l’utilizzo di uve selvatiche ed i numerosi reperti archeologici rinvenuti, dimostrano che l’uva veniva spremuta e vinificata già nel neolitico . Le prime attività di viticoltura probabilmente hanno avuto origine in Georgia, nell’età della pietra, circa 3000 anni dopo.
Intorno al 5000 AC la Vitis Vinifera compare in Mesopotamia, nella cosiddetta mezzaluna fertile. Gli Egiziani furono maestri e depositari delle prime tecniche di viticoltura. Presso la tomba di Tebe, i numerosi geroglifici riproducono in dettaglio come si produceva il vino dei Faraoni; dalla vendemmia passando per la vinificazione, al trasporto sul Nilo fino alla sua conservazione in anfore dal collo stretto solitamente a due manici, chiuse da un tappo d'argilla forato in modo da far uscire l'anidride carbonica.
Chi faceva vino apponeva anche un sigillo con l'anno della vendemmia; prima prova di una rudimentale pratica di invecchiamento. Con l'emergere di altre civiltà, la viticoltura e la vinificazione si affermarono più a nord, lungo le coste del Mediterraneo. Creta e Micene dominarono il mondo culturale ed entrambe erano civiltà commercianti che riconobbero il grande valore del vino.
Attraverso i Greci e i Fenici il vino entrò in Europa. La centralità del vino nella civiltà occidentale è legata al ruolo divino che venne assegnato al vino. Esso era un dono di Dionisio (Dio del vino; Bacco per i Romani), un’essenza che lega la dimensione umana a quella divina e che permetteva l'avvicinamento agli dei proprio grazie allo stato di ebrezza. Le celebrazioni in onore di Dionisio presto arrivarono anche a Roma con il nome di Baccanali. Consistevano in feste all’insegna della sfrenatezza e dell’allegria scomposta e licenziosa. Le Baccanti o Menadi, sacerdotesse del Dio, erano le protagoniste. Esse, vestite di una pelle di Daino, cinto il capo di una corona di edera e tralci di vite, correvano, scapigliate agitando torce ardenti. Le celebrazioni avvenivano durante la notte e il tumulto e la sfrenatezza cui giungevano i partecipanti erano tali da provocare spesso gravi disordini. I vini greci dovevano essere molto dolci e forti e perciò venivano tagliati con acqua di mare per dare acidità o al contrario con miele per dare dolcezza.
«O Grecia celebravi in onore di Bacco corimbifero le feste, che ricorrevano secondo il rito ogni tre brume. Anche gli dei seguaci di Bacco giunsero nel medesimo luogo e chiunque non fosse aleno dai piaceri del gioco; Pan ed i giovani Satiri pronti all'Amore e tutte le dee che amano i fiumi ed i luoghi solitari. Era giunto pure il vecchio Sileno sull'asinello curvo e chiunque rosso spaventa con la sua verga i timidi uccelli. Giunti in una foresta adatta a fastosi banchetti si dagiano sui letti coperti di erba.Libero offriva il vino, ognuno portava la propria corona mentre un ruscello faceva scorrere le linfe da mescere con parca misura. Alcune Naiadi si avvicinavano con le chiome scomposte e sciolte, altre pettinate con le mani e con arte; una offriva i cibi tenendo la tunica rialzata fino al di sopra del polpaccio, un'altra a petto nudo mostrando il seno; una con le spalle nude, mentre un'altra invece getta la veste sull'erba; nessun legaccio impediva i teneri piedi ». (Ovidio: Fasti, I, vr. 392-410)
Anche i poemi Omerici sono ricchi di citazioni a prova della grande importanza che il vino rivestiva nella cultura greca; «a Polifemo viene fatto bere puro un vino che usualmente era diluito con 16 parti d’acqua.» A Itaca, Ulisse, nella sala del tesoro conservava non solo oro, bronzi, tessuti, olio, ma anche «vasi di vino vecchio, dolce da bere» (Odissea II ,vv340).
Gradualmente, nel corso dei secoli, l’arte della coltivazione della vite migrò verso l’Italia che si dimostrò adattissima tanto che in poco tempo venne chiamata Enotria, cioè la terra del vino, poiché le viti prosperavano. La comparsa della viticoltura in Italia probabilmente risale al secondo millennio a.C.. Dapprima in Sicilia dove i Fenici portarono un nuovo clone di Vitis Vinifera Sativa, poi in seguito si diffuse a macchia d’olio nelle regioni centro-settentrionali ad opera degli Etruschi (1000 a.C.) le cui raffigurazioni di viti nelle loro tombe diventano motivo ricorrente.Una vasta collezione di ceramiche a tema enologico e mitologico testimonia l’uso del vino come alimento (boccali, misure, borracce, fiasche, coppe), come medicamento (vasi farmaceutici con manoscritti direttamente legati a essi), come elemento legato alla mitologia (Funflus il Bacco Etrusco). Il vino nella lingua etrusca è già indicato con il termine “vinum” sin dal VIII sec. a.C.. Gli Etruschi diedero maggiore impulso alla diffusione della viticoltura e svilupparono nuovi sistemi di allevamento della vite in piccole piante potate (alberello basso) ed inserirono il trapianto e l’innesto.
La svolta fu compiuta dai Romani: il vino non era solo fonte di baldoria, allegria o un solo fenomeno culturale, ma poteva divenire anche fonte di guadagno. All’epoca dell’Impero Romano la viticoltura si diffuse enormemente raggiungendo l’Europa settentrionale. Con la conquista dei territori le legioni diffusero la vite a sostentamento degli stanziamenti creati. Furono proprio i romani dal II sec. d.C. ad iniziare la coltivazione della vite in Europa presso luoghi oggi famosi e rinomati come Bordeaux, Borgogna, Loira e Champagne. I Romani iniziarono a conservare il vino in barili in legno e bottiglie di vetro enfatizzando il concetto di annata e invecchiamento. Inoltre gli imperatori, capendo l’importanza della coltura, stabilirono delle normative a difesa della vite e le regole per la vinificazione. Introdurrano, pensate, il concetto di microzona, un'area con clima specifico nella quale produrre un vino di qualità.
Con la caduta dell'Impero Romano, e le scorribande barbariche, la cultura viticola fu abbandonata. Le campagne devastate e saccheggiate venivano abbandonate dai contadini. Il vino comincia ad assumere una funzione sacrale e la Chiesa Cristiana ebbe il merito di offrire sicurezza e protezione a chi praticava la viticoltura. Nei monasteri si coltivavano ortaggi, ma anche la vite.Nei Vangeli il vino è elemento presente ed essenziale, dalle "Nozze di Cana" fino all'episodio dell'ultima cena.. Il vino diviene sangue, è il sangue della terra "sanguinis uvae" insieme al pane azzimo diventano il nutrimento dell'anima. Il vino e il pane, nel momento dell'offerta, vengono trasmutati in sangue e corpo di Cristo. Il vino per il compimento del culto religioso, il vino Divino. La chiesa Cristiana fù propulsione per lo sviluppo della viticoltura. I monasteri divennero centri di aggregazione di contadini i quali cominciarono a radunarsi intorno alle Abbazie ed a lavorare i vigneti protetti da recinti. I monaci iniziarono ad insegnare le tecniche della viticoltura e della vinificazione agli agricoltori ed è per questo che la vite divenne simbolo di ricchezza, tanto che anche le popolazioni barbariche insediatesi, iniziarono a prendere in considerazione la viticoltura. Le regole nei monasteri si ammorbidirono.. e “ora et labora” venne affiancato da “bibite frates ne diabulus vos otiosos inveniat” (bevete fratelli perché il diavolo non vi colga oziosi). Intorno al 1400, i benedettini si cominciano ad occupare del terreno e ad analizzarlo per stabilire quale sia il più adatto alla viticoltura (la Cote d'or viene suddivisa in appezzamenti).
La richiesta aumentò così come la produzione, il vino affluiva in città ed iniziò a rappresentare fonte di guadagno per i commercianti.
Nel '600-'700 esplode la produzione di vini di qualità in Francia, nazione che inizia a dettare legge sul modo di coltivare, produrre e commerciare. A nord, nella zona della Champagne, si dice che il monaco dom Perignon abbia creato un metodo di fermentazione in bottiglia (Champenoise). In tempi più recenti si è invece accertato che questa tecnica fu opera di un altro monaco italiano, dom Francesco Sacchi (XIV secolo).
Nacquero le taverne, poi le osterie dove si poteva anche mangiare. Le Repubbliche Marinare fecero conoscere anche vini di altre zone geografiche Italiane e non e anche la viticoltura ne trasse vantaggio. Il 1800 rappresentò anche per l’enologia un secolo fondamentale. Vennero classificati scientificamente i vitigni conosciuti, e le metodologie enologiche e nel 1862 Luigi Pasteur scoprì le regole della fermentazion e della pastorizzazione. Lo chiama l'imperatore per fargli vedere una vite giunta dall'America ma questa novità nasconde un grave malanno per i vitigni: la fillossera, un afide (parassita) che attacca le radici e lentamente distrugge la pianta europea. Si verifica una catastrofe ambientale e muore la quasi totalità dei vigneti. Per reimpiantare i vitigni si adotta la tecnica dell'innesto della marza autoctona (europea) su portainnesti provenienti dall'America, perché la fillossera non sembra gradire le radici americane. Restano comunque alcuni pregiati vitigni autoctoni come il Nebbiolo e il Barbera che si sono salvati soprattutto in alta quota o vicino alle zone sabbiose dove non prolifera la fillossera. Attualmente l'unico paese al mondo "franco-piede" (cioè totalmente autoctono) è il Cile. La continua ricerca di qualità è stata aiutata negli anni dalla meccanizzazione e da scoperte su metodologie sempre più interessanti, ma tutto senza dimenticare le tradizioni e le origini.
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